Di Ruderi e Scrittura

Streghe! Come i baresi scoprirono la formula magica delle Masciàre

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Avvenenti nell’aspetto e temute fedeli sacerdotesse del demonio, le gatte masciàre erano donne malvagie e maestre delle arti più raffinate di seduzione. Con il loro fascino circuivano gli uomini più deboli che oltre a divenire mariti o amanti, erano gli ignari strumenti delle loro diavolerie. Garantita la copertura, vivendo come semplici popolane durante il giorno, la vera natura di queste streghe veniva manifestata nell’ora più tarda della notte, quando fatti addormentare i consorti, salivano sul punto più alto della casa e privandosi delle loro vesti si cospargevano di olio masciàro pronunciando la famosa formula magica:

Sop’a spine e ssop’a saremìinde
M’àgghi’acchìa a Millevìinde.
(Su spine e su sarmenti, mi troverò a Malevento)

Libere, unte e nude, per trasformarsi si lanciavano nel vuoto e atterrate su quattro zampe al suolo correvano all’adunanza per le maledizioni. L’arco a crociera della Corte Cavallerizza era il luogo da sempre designato per formare il malefico cerchio delle gatte masciàre. Qui, insieme alle altre streghe della città, erano pronte a indurre al peccato le donne oneste e far ammalare i bambini di chiunque, di giorno, avesse detto male di loro.

Questo famoso arco da cui provenivano tutti i mali della città vecchia è ancora oggi conosciuto come Arco della Fattucchiera.

Era possibile difendersi dall’agire di queste megere?

Se si chiede a un anziano della città vecchia di Bari come si sia potuto arrivare a scoprire la formula magica per eliminare il potere malefico delle streghe masciàre, quello che ne deriva è una “nuova” storia meravigliosa.

Un giorno, ad una festa di comparatico in una corte, fu invitata una donna da molti ritenuta una gatta masciàre. Era la notte di San Giovanni e al banchetto tra risate di gioia, pasta minuicchi, fichi fioroni e tanto vino, incauta, la donna fu fatta ubriacare. I furbi commensali, portatala alla chiacchiera, ne approfittarono per farle svelare il più oscuro e indicibile dei suoi segreti: come spezzare la maledizione di una strega.

Ormai alticcia e con il bicchiere ancora in mano, la megera riferì il complesso rito.

Come prima cosa – disse – bisogna ripetere la formula:
Driana meste ca va pela vì,
degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Marì
(Maestra Diana che vai per la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria.)

Poi si fa un segno di croce e la sprezzante invettiva:
Gatta masciàre, iì te sbìsse de schengiùre,
com’a ggàtta masciàre, puèzz’avè na mastatùre
(Gatta masciara, ti subisso di scongiuri, come una gatta masciara, tu possa avere la solenne bastonatura)

Infine, con l’indice e il pollice della mano destra si segna un cerchio ‘magico’ e si sputa energicamente all’interno. Lo scopo è quello di vanificare qualsiasi influsso malefico. Se lo sputo non vi ha scandalizzato, possiamo passare alle sculacciate.

Prima di rendersi conto di esser caduta in trappola e maledire i suoi commensali, ormai senza riuscirci, la megera aveva dato conferma di un particolare saliente.

Per scoprire se una donna è una gatta masciàre si procede con la mastatùre. Le bastonate con fasci di ruderi rametti, battipanni e canne leggere che vengono date sul popò della sventurata, hanno il duplice effetto di prevenzione e cura per le donne sospettate di essere streghe. Qualsiasi ceto sociale esse appartenessero.

Un evento che è stato testimoniato agli inizi del’900 e arrivato a noi grazie alla trascrizione di Alfredo Giovine nel suo libro C’era una volta Bari, Edizioni Fratelli Laterza, 1982 è la storia raccontata da Gaetano Lopez, guardiano notturno dello stabilimento Gazagne di Bari e nonno materno di Giovine.

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La strega ubriaca e la colonna infame. Foto di Luigi Corvaglia

Una volta, due gatte masciàre, avendo ritardato nel rincasare, furono sorprese all’alba dal suono della campane e, ritrovatesi nude nelle sembianze umane, si nascosero inutilmente sotto un traino posteggiato in un vicolo della città vecchia. Catturate, furono legate e poste a cavalcioni del leone di Piazza Mercantile. Allontanati i ragazzi, perché lo spettacolo era a loro poco consono, le donne furono fustigate in pubblico nella parte del corpo che serve per sedersi. Ad ogni colpo le condannate si contorcevano e miagolavano dal dolore, mentre il popolo urlava minaccioso:

“Scetterrà sott’a tèrre. Scetterrà a ccàse de diauue”.

Fatto sta che, il giorno dopo, i due gendarmi posti di guardia alla colonna infame raccontarono ancora spaventati e tremanti che, nelle tenebre della notte, una strega sghignazzante senza denti e con due occhi neri come la pece aveva unto di olio ‘masciaro’ le condannate. Queste, dopo aver pronunciato la nota formula ed essere tornate in forma felina, sgattaiolarono tra le gambe dei gendarmi e lanciando strilli laceranti e lampi sinistri dagli occhi scomparvero nei vicoli della città vecchia.

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Gaetano Barreca
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