(…) Notando il mancato uso del congiuntivo in “prima che vola lontano” , Assunta e Luigi rimasero complici e attenti ricordando il gioco dell’ascolto che la madre usava per far riconoscere gli errori di grammatica. Illuminati dai raggi del sole, i due incrociarono lo sguardo e il figlio, solo in quel momento si accorse degli occhi un po’ arrossati da un probabile pianto di Assunta. Soprattutto, scrutandola con imbarazzo, carpì per la prima volta le rughe aumentate della madre. Sua madre stava invecchiando. “Una madre non dovrebbe mai invecchiare” ripeté a se stesso.
Fiiiii, iniziò a fischiare la caffettiera dimenticata sul fuoco e, senza volerlo, Assunta corse in cucina imitando la Gnura. «Uh Gesù, Giuseppe e Maria!» Si fece per tre volte il segno della croce. «Il caffè! Arriiiiivo!»
Le lacrime irruppero a inondargli gli occhi. Luigi si scoprì egoista. Emerse il senso di colpa per i troppi impegni e le mancate telefonate. Provò vergogna per aver deciso di staccare a morsi quel cordone ombelicale. Si sedette sulla sua scrivania, che il padre gli aveva comprato appena era cresciuto. Fece un forte respiro. Gli occhi fissi si rattristarono. Tirò su con forza il moccio e con i peli del braccio si asciugò l’umido naso. Alla sua Olivetti, posizionò in silenzio la carta carbone tra i due fogli perfettamente bianchi. Li mise in riga, girò lentamente le rotelle laterali lasciando circa due centimetri di spazio bianco e portò il carrello a destra. Per immergersi nel lavoro, come sua abitudine, il giornalista premeva più tasti insieme in modo che i martelletti si incrociassero tutti insieme, fermandosi a metà strada senza riuscire a raggiungere la carta bianca. Separare quell’ammasso freddo di metallo era anche un suo strano modo per distendere i nervi. Non quel giorno, digitò sui tasti la parola mamma, e la cancellò subito prima con tante lineette nere e poi con la scolorina. Asciugò lacrime e narici e rinnovò un grande respiro. Era pronto. Pronto per scrivere quel documento che nascondeva ai suoi genitori. Lui, avrebbe cambiato il corso della storia.
Assunta sopraggiunse con il caffè e alcuni taralli.
Luigi non le concesse lo sguardo.
«Papà è andato a comprare la cornice per il tuo articolo. Lo mettiamo in bella vista nel soggiorno, vicino alla libreria. Che ne pensi? Oh! Quanto è bella questa macchina da scrivere, Luigino mio. Un giorno m’insegnerai a usarla, vero? Non ho mai compreso come si cambia il nastro. Capire se la fascia rossa va su o giù e che posizione… oh! Faccio certi pasticci.»
«Mamma.»
«Si! Adesso ti lascio lavorare in pace, a Roma ti sarai abituato al silenzio. Ho una montagna di vestiti da stirare. Se vuoi qualcosa sono in cucina.»
«Mamma!» rimarcò candidamente. «Rimani con me. Vieni a stirare qui in camera. Così, come quando abbassavi il saliscendi per fare luce sui miei compiti e tu facevi le faccende domestiche. Tu lavavi i piatti e io ti ripetevo le tabelline. Ti ricordi quando facevamo le addizioni col pallottoliere o cercavamo di risolvere quegli strambi problemi di aritmetica del sussidiario, te li ricordi? Alla fine trattavano sempre e solo di Pierino e della sua scalcagnata famiglia o anche del contadino. Te lo ricordi, il contadino? Quello che andava al mercato con le pere e le mele, desideroso di capire quanto avrebbe guadagnato dalla vendita di ogni articolo. E i problemi incentrati sui rubinetti che perdevano acqua e riempivano pericolosamente vasche, sempre al limite della tracimazione? Indimenticabili!»
Assunta fu presa alla sprovvista dalla richiesta e l’entusiasmo di Luigi. Si commosse. Trattenne le lacrime, Dio solo sa come; se avesse lasciato andare dalla bocca un solo sibilo a quei ricordi che erano stati il momenti più belli della sua famiglia, sarebbe scoppiata.
«Al telefono non te l’ho mai detto per non farti rattristare, mi sei sempre mancata tanto.» riprese lui «Non pensavo che in una città grande come Roma si potesse soffrire di solitudine. Devo ammettere che sono divenuto incredibilmente geloso del figlio di Gina, il piccolo Pino. Quel nanetto può averti tutta per sé nell’ora dei compiti a casa, in cucina. Peccato si cresca così in fretta. Mi mancano quei maledetti problemi di aritmetica.» Assunta non disse una parola, si limitò ad abbracciare con affetto le cresciute spalle del figlio, il quale le accarezzò i capelli e fece un profondo respiro per assaporarne l’odore di madre. Luigi ora era adulto, era vero, ma per Assunta rimaneva sempre il suo bimbo monello che sognava il regno di Camelot. Con qualche Polaroid, in quella stanza ormai quasi spoglia era rimasto il silenzio di lui e Michele bambini e l’eco dei loro richiami quando gli saltava lo schiribizzo. I figli devono andarsene, devono trovare la propria vita da soli, imparare a bastare a se stessi. Questo Assunta lo sapeva, lo sapeva bene. Aveva provato a prepararsi, la mamma, ma non ci era mai riuscita. Il giorno del distacco era arrivato troppo in fretta.
«Sicuro che non ti disturbo, stirando in camera tua?» volle accertarsi la madre.
«Assolutamente no! Quando mi ricapiteranno occasioni simili? E poi, il rumore del ferro da stiro con i suoi sbuffi cosi bizzarri mi rilassa. Mi fa sentire a casa. Protetto. Nonno diceva sempre “ci sono azioni quotidiane e banali che non ti mancano finché le vivi”, solo adesso comprendo le sue parole e, Dio sa, quanta ragione aveva!»
Con gli occhi lucidi, Assunta eseguì la volontà del figlio e si avviò per andare a prendere l’asse da stiro nel ripostiglio. Voltato l’angolo, fuori dalla porta della cameretta, la donna si nascose alla vista di lui. Si appoggiò alla carta da parati del corridoio e portò la mano al grembo respirando profondamente. Era cosciente che Luigi presto sarebbe tornato a Roma, anche se non conosceva il nome della ragazza, sapeva che era innamorato, una madre lo sa sempre. Riconosce i battiti diversi del cuore e dei gesti di suo figlio. Soprattutto, lei l’aveva capito quando, due anni prima, Luigi aveva smesso di portare a casa i panni da lavare. Non era gelosa, anzi la rassicurava il fatto che qualcuno o qualcuna si prendesse cura di lui. Eppure, avrebbe voluto dirgli di non andare via, di rimanere, che ogni volta che lo accompagnava alla stazione centrale per distaccarsene ancora, il suo cuore pareva si rimpicciolisse, come costretto dentro una morsa di chiodi arrugginiti che a ogni battito s’infilzavano sempre più in profondità trafiggendo l’organo. Non poteva dirlo e non l’avrebbe mai fatto. Questa non era una questione di rispetto al cateto, solo pura sofferenza d’amor materno.
(…)
Mamma Assunta si mise a stirare in silenzio, Luigi era di spalle dinanzi a lei. Si zittì e in quei sentimenti misti di preoccupazione e affetto si commosse nell’osservare il figlio riverso curvo su quella macchina da scrivere. Pensò a quando era piccolo, e al suo fratello maggiore purtroppo in cielo. Sfogò il pianto. Assunta pianse di ritrovata gioia materna nascondendo ogni piccolo singhiozzo con uno sbuffo di vapore. Sbuffi che a Luigi davano tanta tranquillità.
Dopo il Funerale – Gaetano Barreca
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Davvero splendide, le immagini racchiuse nel tuo blog
Un saluto,silvia
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