Bozze d'Autore

Note sul suicidio di Eva – Ostuni

Avresti dovuto mostrare con orgoglio la mela morsa invece di lasciarla cadere dalla mano che adesso serra la tua bocca. Eva che scopri il tuo esser donna, madre non madre. Nessuno ti ha insegnato il perdono per se stessi.

Svergognata, privata da troppo tempo del corpo di Cristo, hai deciso di serrarti in casa mentre il prete magnificava la messa. Estive e ciottolate le vie calpestate dai piedi sudati dei fedeli che seguivano il vescovo in una processione aggrovigliata d’ancestrali credenze popolari, di fatture e demoni contrapposte a un campione reso santo. Uomini presuntuosi che studiano Dio e si ammantano di ragioni insindacabili per il prossimo. La chiamano teologia.

Fede, tradizioni, suoni e colori, interessante e bella cultura quanto ridondante, arida e spietata e tu sconfitta, sporca ti immagino danzare contorta nel tuo dolore, impazzita dimenarti come morsa da una taranta. Folli volano le tue vesti che trasudano dolore di urla e lacrime seguendo l’incalzante ritmo di tamburelli immaginari. Spettri della mente che si fanno beffa del tuo essere, mentre senz’anima un inerme crocefisso ti osservava morire.

14La folla è in delirio «Sànde Rònze, Sànde Rònze» strilla da lontano, mentre immagino, bianche, dondolare le mani che dai tuoi fianchi abbandonano la tensione dal soffocamento. Appesa al soffitto, cosa ha significato quella corda? A nulla è servito striare la tua carne con spugna di ferro per liberarti dalla vergogna e il senso di colpa imposto, mentre il tuo balsamo preferito stagnava nella vasca tra il fetore di sangue caldo e pelle persa.

In obitorio ora un corpo nudo, massacrato dal dolore dinnanzi ai miei occhi. Mi domando se in quel dondolamento di mammelle mi hai amato e, senza capire, mi chiedo se la rinuncia a Dio sia stata così sofferta da privarti della vita?

Gola arsa, all’esterno ancora il nitrire di gente e cavalli bardati che in numero di trenta, accompagnano la statua del santo mentre la luce dei neon illumina l’irreale. La camera mortuaria è silenziosa, un umano recinto privo di sentimenti. Solo i singhiozzi di Benedetta sembrano interrompere il non senso di quella riunione di famiglia forzata. Che ci facciamo qui?

Genitrice o madre, come potrei chiamarti ora che la morte mi ha messo di fronte alla tua esistenza?

Tre figli strappati, estranei tra di loro di fronte a un corpo freddo e torturato, che ha vomitato le nostre nascite. Avrei preferito rimanere un embrione protetto dalla placenta del tuo ventre che essere abortito dall’ignoranza della gente. Non capisco, ti osservo!

 

Bozza del racconto “Note sul suicidio di Eva- Obitorio” per il romanzo della Saga dei Poeti di Cera – in stesura.

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